A Cremona è nato Pegaso, figlio della prima cavalla clonata » Panorama.it – Hitech e Scienza
Al cancello del Laboratorio di tecnologie della riproduzione (Ltr) in una stradina di campagna alla periferia di Cremona, qualche giorno fa è comparso un fiocco azzurro. In questo edificio basso e anonimo, del Consorzio per l’incremento zootecnico (Ciz), è nato dopo 11 mesi di gestazione Pegaso, figlio di Prometea, cavalla di razza avelignese, entrata nella storia della scienza nel 2003 come primo clone equino al mondo. Artefice della nascita di Prometea, Cesare Galli, esperto in tecnologie della riproduzione, cui spettano due primati: sempre nel suo centro nel ‘99 nacque Galileo, il primo toro clonato, che oggi gode di ottima salute. Pegaso è nato il 17 marzo 2008 dopo 11 mesi di gestazione con parto naturale e con un’unica fecondazione con il seme dello stallone Abendfurst, anch’esso di razza avelignese.
Questo lieto evento risponde a tutte le domande che da sempre hanno circondato Prometea, come altri cloni. «Confema che gli animali clonati possono crescere normalmente e riprodursi in modo naturale» dice Cesare Galli. «Per la specie equina la nascita di Pegaso ha un significato particolare perché molti cavalli da competzione sono animali castrati in giovane età, e quando da adulti si rivelano campioni, sono incapaci di riprodursi e di dar luogo a una progenie di campioni». La clonazione può oggi consentire di ottenere copie di cavalli campioni castrati e dai cloni, figli di campioni, altri figli che altrimenti non sarebbero mai nati.
Al Ciz sono stati clonati finora 11 bovini (tre femmine e otto tori), 22 maiali, e due cavalli. Nel 2003 l’annuncio sulla rivista Nature della clonazione di Prometea fece il giro del mondo. Nessuno era mai riuscito a duplicare un cavallo, nonostante i ripetuti tentativi. «La cavalla che l’ha partorita, facendo da madre surrogata, è la stessa ad aver donato il materiale genetico: è il nucleo di una sua cellula somatica, trasferito in un ovocita, ad avere fatto di Prometea una sua copia esatta» spiega Galli. Difficile distinguerla dalla madre, anche se le macchie bianche sulla sua fronte non sono proprio identiche:«Le cellule del pigmento non migrano mai in modo sovrapponibile».
Dopo che nel 1997 al Roslin Institute di Edimburgo la pecora Dolly emise il suo belato, il primo mammifero a essere clonato, molti altri animali sono entrati nello zoo del futuro, grazie sempre alla tecnica del trasferimento di una cellula somatica in un ovocita. Dopo Dolly, in ordine cronologico, ci sono stati: topo, toro, maiale, capra, gaur, muflone, coniglio, gatto, mulo (clonato con una tecnica un po’ diversa lo stesso anno di Prometea), ratto, cane, bufalo indiano, furetto e, infine,volpe. Di lei, di Dolly, si è parlato molto (e si continua a farlo) per motivi diversi. Prima accese il dibattito tra gli esperti di bioetica, preoccupati della possibilità di trasferire la tecnica sull’uomo. Poi arrivarono le polemiche, e alcuni addetti ai lavori sollevarono il dubbio che non fosse il clone di una pecora adulta. Infine si tornò a parlarne per un singolare quesito biologico: Dolly è nata giovane come tutti gli agnelli del mondo, o già vecchia, ossia con un’età biologica di 6 anni, quella del nucleo della cellula della donatrice?
«Spesso gli animali clonati sono oggetto critiche circa la loro normalità, anche di Dolly si disse che morì prematuramente perché aveva l’artite come animali molto più vecchi. In realtà, l’autopsia non rivelò nulla di anormale riconducibile alla clonazione. Morì come tante sue simili per una malattia virale che colpì l’allevamento in cui stava e dopo aver partorito tre volte» conclude Galli.
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